Work-Life Balance post-pandemia

Grazie al diritto alla disconnessione il prestatore di lavoro deve essere protetto da una potenziale perenne connessione. Il punto di partenza resta che una cultura lavorativa “always on”, essere sempre connessi, non è salutare. Strettamente correlato, infatti, è lo stress che un lavoro senza pause comporta. La disconnessione costituisce a pieno titolo una misura preventiva per tutelare appunto la personalità fisica e morale della/o smart worker.

Per questo in Italia, nella legge 81/2017 sul lavoro agile al comma 1 dell’articolo 19, seppur senza fornire una definizione giuridica, si dispone che “(…) l’accordo individui tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.

 

Il tema del diritto alla disconnessione, al di là delle implicazioni legislative, è strettamente legato al tema del work-life balance. Uso questa parola, “equilibrio” anche se, come molti altri del resto, non ne sono entusiasta ma ci aiuta a capire il tema. Trovare un giusto equilibrio o giusta integrazione tra vita lavorativa e vita personale è importante per il proprio benessere e quindi anche per la qualità del proprio lavoro.

Il periodo di lavoro da casa che abbiamo vissuto negli ultimi mesi ha sicuramente portato i lavoratori e le lavoratrici a stravolgere i confini che fino a poco prima era più facile mantenere, tra casa e ufficio, tra figli e colleghi, tra tempo libero e riunioni di lavoro. Non tutti i mali vengono per nuocere però, o per lo meno cerchiamo di capire cosa possiamo imparare su questo tema dall’esperienza vissuta.

 

Dal balance all’integration, evitando la dis-integration

Parlare di equilibrio tra casa e lavoro presuppone che ci siano due entità distinte e impermeabili da mettere sui rispettivi piatti della bilancia e far in qualche modo allineare come peso specifico. Questo, abbiamo visto soprattutto negli ultimi mesi, essere poco fattibile e forse anche poco utile in questo periodo storico.

Ecco perché, ormai già da tempo in verità, si parla di integrazione tra casa e lavoro. Dimensione per cui i confini tra le due entità si fanno più labili e quindi ci immaginiamo di lavorare sul tavolo da pranzo nel nostro salotto, rispondere ad una mail alle h 22 e fare una conference call dalla spiaggia. Tutto ciò presenta dei vantaggi, ma anche diverse insidie. In questo disegno è facile scivolare nella disintegrazione dei confini per cui tutto è lecito sempre e ovunque. E il risultato rischia essere che il tempo libero, quello dei figli, della casa, degli amici, degli hobby viene eroso a favore del desiderio di dimostrare la propria efficacia lavorativa.

 

Cosa può fare l’azienda

In un panorama simile, oggi le aziende hanno un’opportunità unica: cogliere il cambiamento che abbiamo tutti vissuto per ripensare alle logiche e dinamiche lavorative per aiutare i lavoratori a trovare la propria integrazione evitando la disintegrazione dei confini tra casa e lavoro. Non c’è una ricetta magica che va bene per tutte le aziende allo stesso modo ma una strategia generale è quella di lavorare su due fronti:

  • Aumentare la delega del management
  • Aumentare l’indipendenza degli operativi

Il primo punto serve per creare una cultura del lavoro in cui i membri del team abbiano le informazioni e gli strumenti per lavorare nel modo più congeniale a loro, rispettando comunque ciò che è necessario fare.

Il secondo punto serve per sostenere le persone a organizzarsi evitando che i confini tra vita e lavoro si disintegrino appunto e quindi preservando benessere e produttività.

Monica Bormetti

Psicologa e autrice di

#Egophonia, gli smartphone fra noi e la vita (Hoepli).