Perché parlare (ancora) di smart working in questo momento

Perché parlare (ancora) di smart working in questo momento

Vi sarete accorti che “smart working” è una delle parole che abbiamo più usato negli ultimi mesi, allora perché parlarne ancora? FareWelfare l’ha fatto qualche giorno fa con CLOM, in diretta, perché proprio oggi più di prima può risultare molto utile per le imprese comprendere alcuni cardini dell’esperienza di lavoro agile.

L’epidemia ha avuto l’inconsapevole merito di spingere aziende verso un uso massivo dello smart working, ma in realtà, al di là delle procedure di emergenza per avviarlo e dei tentativi più o meno efficaci di attuarlo, quello a cui si è passati è stato più telelavoro, cioè un uso di lavoro da remoto forzato dall’emergenza e non sempre fatto in condizioni ottimali.

Prima di ciò, il lavoro agile era ancora guardato con sospetto da molte aziende che si interrogavano su quanti giornate mese concedere e quali regole imporre, talvolta poi era ostacolato anche da problemi infrastrutturali.

Oggi, dopo aver sperimentato una situazione straordinaria, le aziende devono prepararsi alla fase successiva all’emergenza, dovranno pertanto:

  • scegliere come continuare con questa modalità di lavoro flessibile, con condizioni di ritorno al lavoro nelle sedi aziendali spesso graduali,
  • riorganizzare e ridisegnare gli spazi di lavoro in modo da allargare lo smart working in maniera strutturata a tutti i profili che non richiedono una presenza in azienda per garantire ulteriori spazi per assicurare il distanziamento tra i dipendenti,
  • capire come investire su formazione e tecnologie,
  • scrivere la policy/regolamento aziendale di smart working in base alla propria situazione di partenza.

In tutto ciò, l’approccio emergenziale al tema non ha cancellato ma semmai cambiato il quadro dei rischi per lo smart working, rischi che si annidano in quelli che sono i suoi principali cardini, ovvero i comportamenti organizzativi, la tecnologia e la gestione degli spazi.

Bisogna ammettere che se il lavoro non si è fermato del tutto nei mesi di lockdown è proprio grazie allo smart working, nonostante ciò personalità di spicco come il giurista Pietro Ichino (Lo Smartworking per dipendenti pubblici è stata spesso una vacanza) e il sindaco di Milano Beppe Sala (Stop a smart working, torniamo al lavoro. “Effetto grotta” è pericoloso)  hanno avuto parole poco lusinghiere verso lo smart working. Cerchiamo quindi di capire quali possono essere gli effetti collaterali del lavoro agile che destano tante resistenze.

Punto primo: il lavoro agile in assenza di regolamento o con regolamento inadeguato

I comportamenti organizzativi sono viziati da due approcci in antitesi: il primo tende a classificare tutti i lavoratori dei nullafacenti che in assenza di controlli serrati da parte del datore di lavoro perderebbero solo tempo, all’opposto troviamo un’eccessiva fiducia e totale deregolamentazione di orari di lavoro e assenza di controlli.

Ciò che mette in comune i due approcci è il rifiuto della regolamentazione di lavoro agile, nel primo caso dettato dalla sfiducia nei propri lavoratori e dei sistemi di controllo sugli obiettivi; nel secondo caso più spesso connesso all’incapacità dell’azienda di comunicare obiettivi e gestire sistemi di monitoraggio che metterebbe in crisi le stesse figure manageriali.

Altro aspetto da non sottovalutare è che la mancanza di una regolamentazione del lavoro agile lascia spazio ad una zona grigia in cui ognuno si gestisce a proprio uso e consumo la propria flessibilità e l’azienda una discrezionalità nel valutare l’efficacia e l’efficienza dell’operato delle persone.

Punto secondo: i confini delle relazioni digitali

Smartphone, Pc, Tablet hanno la potenzialità di consentire lo svolgimento del lavoro in qualunque luogo e in qualunque orario e giorno della settimana e dell’anno.

Con questi strumenti un po’ tutti ci siamo sentiti almeno all’inizio dei professionisti di Wall Street che danno dritte dell’ultimo minuto, in realtà più spesso ci siamo rovinati una mattina di ferie per dire a un collega dov’era finito un faldone in ufficio. La dilatazione dei tempi di lavoro impedisce alle persone di riposarsi, di staccarsi dal lavoro ed è causa di forte stress.

Citiamo ad esempio il caso di Slack, riportato qui da Monica Bormetti, in cui in azienda si ritiene poco educato inviare e mail e messaggi fuori dall’orario di lavoro. L’uso dello smartphone, che già nel tempo libero ci rapisce con la sua enorme multifunzionalità, fatto senza regole per gli impegni di lavoro ci porta in una situazione in cui si è schiavi di ogni sua notifica.

Punto terzo: la gestione dei luoghi

Il terzo elemento di attenzione è l’uso improprio degli spazi di lavoro.

Anche in questo caso abbiamo punti di vista opposti fra chi è del fronte “tutti a lavorare in ufficio” e chi invece è per il “si può fare tutto da casa”

Gestione dei figli a parte, il lockdown ci ha insegnato 2 cose: la prima è che si può lavorare da casa e anche meglio e che per scambiarsi opinioni le conference call funzionano bene e ci fanno risparmiare un sacco di tempo. La seconda cosa è che ci piace andare in ufficio, ci mancavano i colleghi e quella dimensione pienamente lavorativa.

Ma estremizzare con tutto il lavoro da casa o con tutto il lavoro in ufficio, è un principio sostanzialmente sbagliato se parliamo di smart working.

Per lavorare bene occorre ragionare sugli spazi giusti per fare determinate cose in determinati orari.

La casa è un ambiente sicuro e pieno di confort, ma anche pieno di distrazioni. Coworking, bar con wi-fi, biblioteche possono essere spazi alternativi all’ufficio, sempre che in certe occasioni non sia proprio l’ufficio il miglior ambiente per lavorare; dipende tutto da quale compito si debba svolgere.

Come possiamo gestire al meglio queste situazioni?

  1. Evitare situazioni che ci portino a lavorare in modalità multitasking. Se sono a casa a lavorare devo considerare tutte le situazioni che possono crearmi distrazione dal lavoro e allo stesso tempo saper creare un argine spazio temporale alla mia attività lavorativa.
  2. Regolamentare lo smartworking in azienda attraverso un processo partecipato, definendo modalità, tempi e luoghi di lavoro nel rispetto degli obiettivi aziendali e di vita privata delle persone. È importante tenere presente che un dipendente o un’azienda che non si pone obiettivi, tempi e sistemi di monitoraggio in modalità smart working, probabilmente non lo fa neppure in ufficio.
  3. La formazione per il lavoro smart è utile per tutti i livelli aziendali: dai manager che devono saper dare obiettivi chiari, ben costruiti e monitorarli, alle figure più esecutive che devono sapersi gestire responsabilizzandosi. Occorre inoltre seguire un’adeguata formazione all’uso responsabile degli strumenti digitali dal punto di vista tecnico (bisogna ringraziare il lockdown, se molte persone sanno ora cosa sia un cloud) e come relazionarsi con gli stessi.

Il corso Smart Working e Benessere Digitale parla di tutto questo e sarà disponibile in autunno sul catalogo di CLOM

Marialuisa Di Bella e Federico Piccini Corboud

Team FareWelFare